Questo inverno voglio seguire un corso da sommelier. Un’intervista per rispondere ad ogni dubbio

Alzo il bavero della giacca tecnica. Il vento soffia impietoso in questa bella giornata autunnale che tinge di rosso le vigne fra le colline umbre. E mentre la ghiaia scricchiola sotto i miei passi, mi avvicino al portone della cantina in cui Alberto ha voluto darmi appuntamento. Alberto ed io ci conosciamo dalle superiori e nonostante non ci si incontri con regolarità siamo rimasti buoni amici. Lui è agronomo nonché sommelier da dieci anni ed in questo periodo anch’io sto pensando di iscrivermi ad un corso da sommelier, causa un meraviglioso documentario su Neflix, chiamato Somm, di cui consiglio vivamente la visione, nonché una inveterata passione per il vino. Già ho chiamato Alberto più di una volta per chiedergli consiglio ma continuando a sentirmi un po’ titubante alla fine mi ha gentilmente invitata in una delle cantine in cui fa consulenza per rispondere a quelli che sono i miei dubbi e le mie perplessità.

Alberto: sommelier gentiluomo

Alberto mi aspetta sulla soglia ed ha molto più l’aspetto di un baronetto nella sua casa di campagna che di un agronomo. Glielo faccio notare mentre lo saluto, un mezzo abbraccio perché le mie braccia sono troppo intirizzite per riuscire a stenderle attorno al suo collo, e lui già ride. La prima mezz’ora la passiamo a dirci cose assolutamente inutili, a prenderci in giro e ad aggiornarci sugli ex compagni di classe con cui siamo più in contatto, poi tiro fuori il taccuino e lo appoggio accanto ai tre calici vuoti che Alberto ha preparato per me. Sul suo lato del basso tavolino aspettano pazienti altrettanti bicchieri. Alberto incrocia le lunghe gambe ed il pantalone si alza lasciando scoperta la caviglia nuda sopra il mocassino testa di moro. Rabbrividisco sfregando le mie mani ancora livide nonostante il tepore che spande dalla stufa nell’angolo.

«Ma non hai freddo?» Chiedo.

«Ti pare che sia freddo questo? Non basta mica così poco per farmi mettere una calza con un mocassino!»

Io tiro fuori il cellulare e lo giro verso di lui mostrandogli che nemmeno nell’articolo sul sito ufficiale del Calzaturificio Soldini c’è scritto da nessuna parte che il mocassino in inverno debba essere indossato senza calze (allego il link a testimonianza della veridicità della mia affermazione!). Lui ride e mi manda con nonchalance a quel paese.

Per diventare sommelier serve avere una qualche predisposizione naturale?

Come già detto, io ed Alberto ci eravamo già confrontati e lui già mi aveva indirizzat verso quello che lui ritiene il corso più serio e professionale.

«Sinceramente non so se sono in grado di capire il corso da sommelier. Mi pare molto interessante e mi piacerebbe bere il vino con un po’ più di consapevolezza, al di là del buono o cattivo, ma sinceramente non capisco se io sono adatta!»

«Allora.» Ed il viso di Alberto si fa serio per la prima volta da quando ho messo piede qui dentro. «Sicuramente esistono persone che possono essere più portate o meno portate. Questo dipende da tante cose, come il lavoro o il sesso. Le donne sono avvantaggiate rispetto agli uomini perché solitamente prestano più attenzione agli odori. Ad esempio io già so che la Vania, quando tornerò a casa sta sera, capirà subito che mi si è avvicinata una donna!»

Ridiamo tutti e due. In effetti conosco benissimo la compagna di Alberto, che lui chiama lui la Vania, e me la vedo davanti mentre l’annusa appena tornato a casa.

«Oppure i cuochi; in genere i cuochi hanno una grande predisposizione perché per lavoro toccano molti cibi e prestano anche attenzione al loro odore. Un uomo normalmente non presta molta attenzione agli odori che sente.»

Io penso ai calzini di mio figlio ed annuisco concorde.

«Io adesso non ti sto a dire quello che sono gli odori primari, secondari e terziari, se farai il corso lo imparerai. Se non lo farai, comunque continuerai a bere vino e dire questo mi piace oppure questo non mi piace, che va benissimo ugualmente.»

Il primo testing: buttarsi per imparare

Alberto si frega le mani e scavalla le gambe, riportando l’orlo del pantalone a combaciare con il bordo del mocassino. «Adesso, per vedere se hai un naso che serve a qualche cosa, proviamo a fare un assaggio e tu mi dici quello che senti. Va bene?»

Io annuisco. Sono solo le 11.30 del mattino, quindi non è che mi vada tanto di bere. Allungo preventivamente una mano su un grissino fra quelli al centro del tavolino. Alberto con un sorriso canzonatorio mi fa «Ah! Hai paura! E fai bene!» Intanto mi versa il primo vino. Per fortuna è un bianco. «Questo è un gewurztraminer. Non ti dico altro, dimmi tu che ci senti?»

Annuso e dico: «vino!»

«È un inizio direi. Io ci sento anche però…» Ed Alberto inclina il suo bicchiere e ci infila dentro la sua lunga appendice nasale. «Susine e ananas. Tu li senti?»

«Sssssì» Rispondo con scarsa convinzione annusando con la massima attenzione.

«Ti viene in mente qualcos’altro?»

Io chiudo gli occhi e mi concentro. «C’è qualcosa di aspro. Limone? Pompelmo?»

«Bravissima! Vedi che non sei così negata! Io direi che quel tocco di aspro è lime e lici. Poi sento anche un altro frutto. Tu che dici?»

Io scuoto la testa sconsolata.

«Melone bianco, secondo me. Poi sento anche profumi di piante, no?»

«Mimosa?» Chiedo, io che odio il giorno della donna proprio perché non sopporto il tanfo con cui la mimosa satura l’aria di un ambiente.

«Perfetto! Anch’io ci sento mimosa. Ed anche ginestra! Se poi vogliamo fare proprio i precisini dobbiamo dire che c’è anche un tono vegetale, di fieno bagnato e minerale di gesso e pietra focaia.»

«Pietra focaia?» E io scoppio a ridere. Pietra focaia è un po’ troppo. Mi torna istintivamente in mente l’imitazione del sommelier fatta da Antonio Albanese.

«Va bene, tu ridi ora, così se poi ti iscrivi al corso, ti sei già sfogata. Adesso assaggialo e dimmi quello che ne pensi.»

Ne prendo un micro- sorso. «Buono!»

«Non sembri mica una che per lavoro usa le parole! Diciamo che alla signora il gewurztraminer di Hoffstatter pare buono!»

Facciamo altri due assaggi, un altro bianco ed un rosso locale, un Montefalco incredibilmente tosto per quest’ora, almeno per me. Alberto mi illustra quello che ci sente e quello che dovrei sentirci, sempre con la dovuta dose di prese in giro.

La resa dei conti

In totale posso dire che in una mattinata di assaggi con Alberto sono riuscita a carpire un odore di banana e di vaniglia nel secondo vino e una ciliegia e una mora nel terzo. Al novantesimo ho anche sentito un chiodo di garofano che mi ha fatta sentire come se avessi il diploma da sommelier già in tasca.

Ovviamente sono stata molto fortunata, perché non tutti possono vantare un amico sommelier in mocassini tanto simpatico e disponibile. Ringrazio Alberto per quest’oretta abbondante che mi ha dedicato ed ora so che non mi restano più altre scuse per decidere di iscrivermi al corso da sommelier!